Prototype – Photographs from the Seventies presenta alcuni dei suoi lavori più iconici, qui riuniti per restituire la ricchezza e la varietà di quel decennio sperimentale. Tra questi, “Mutation (1970)” — una installazione di 112 fotografie che analizzano con rigore quasi scientifico il rapporto tra viso, gesto, tempo e trasformazione. “Der Wasserträger (1970)” mette in scena l’elementare gesto del sollevamento di secchi d’acqua, trasformandolo in misura di durata, equilibrio e ripetizione. Infine, “Hineingehen und herauskommen – Rentrer Sortir”, realizzato per la Biennale di Tokyo nel 1970, scompone l’azione performativa di salire e scendere le scale del museo giapponese in una sequenza analitica che interroga spazio, movimento e percezione. La mostra include inoltre una serie inedita di fotografie scattate da Rinke in Giappone nel 1972, intitolata “The German Buddha”, in cui l’artista continua a esplorare il corpo e i suoi gesti in relazione agli spazi, giocando con la tensione tra templi e suggestivi paesaggi e architetture orientali. Queste opere, poste in dialogo fra loro, restituiscono l’ampiezza del suo approccio concettuale e inaugurano il percorso espositivo con una forza visiva e metodologica che ne definisce l’intera ricerca.
Negli anni Settanta Rinke riesce a sviluppare un linguaggio visivo in cui il corpo diventa strumento di misurazione e principio di indagine: un dispositivo capace di interrogare tempo, spazio e presenza attraverso gesti minimi, posture controllate e sequenze analitiche. Le sue fotografie non funzionano come semplici documentazioni di performance, ma come veri e propri “esperimenti visivi”: frammenti di una ricerca quasi scientifica in cui il corpo dell’artista si offre come unità universale, soggetta a forze, durate, proporzioni. La mostra propone una nuova lettura di quelle indagini storiche: non come materiali d’archivio, ma come strumenti ancora oggi attivi per comprendere la relazione fra il sé e il mondo e ciò che resta di irriducibile nell’esperienza umana.
In un’epoca di nuove temporalità e crescente smaterializzazione, Rinke mostra come un gesto semplice e immediato — il “premere il pulsante” — possa trasformarsi in un manifesto di presenza totale, capace di catturare l’essenza stessa del vivere.
