"Sto cercando di far comprendere che ogni persona, qualunque sia la sua origine o condizione sociale, dovrebbe avere la possibilità di conoscere sé stessa e di lavorare su di sé grazie a queste elementari "dimostrazioni della realtà". La maggior parte delle persone è ostacolata dal fatto di essere ormai completamente assorbita dalla lotta per la sopravvivenza ed è legata a forme di vita che si impongono su di loro e con loro. Lo studio di questo libro -Klaus Rinke: Zeit / Time - Raum / Space - Körper / Body - Handlungen / Transformations", A. Götz, 1972- potrebbe rappresentare un punto di partenza per prendere coscienza delle strutture fondamentali dell’essere umano. L’artista dovrebbe avere la possibilità di creare condizioni esperienziali nel mondo reale che favoriscano la consapevolezza. Queste condizioni non devono limitare l’individuo, ma al contrario stimolare la sua libertà. Per esempio, le persone dovrebbero mantenere un’attenzione costante al tempo che trascorrono nel loro ambiente. Grazie a queste esperienze, ciascuno di noi potrebbe così misurare il grado di intensità o di apatia della vita che sta vivendo."

Prototype – Photographs from the Seventies presenta alcuni dei suoi lavori più iconici, qui riuniti per restituire la ricchezza e la varietà di quel decennio sperimentale. Tra questi, “Mutation (1970)” — una installazione di 112 fotografie che analizzano con rigore quasi scientifico il rapporto tra viso, gesto, tempo e trasformazione. “Der Wasserträger (1970)” mette in scena l’elementare gesto del sollevamento di secchi d’acqua, trasformandolo in misura di durata, equilibrio e ripetizione. Infine, “Hineingehen und herauskommen – Rentrer Sortir”, realizzato per la Biennale di Tokyo nel 1970, scompone l’azione performativa di salire e scendere le scale del museo giapponese in una sequenza analitica che interroga spazio, movimento e percezione. La mostra include inoltre una serie inedita di fotografie scattate da Rinke in Giappone nel 1972, intitolata “The German Buddha”, in cui l’artista continua a esplorare il corpo e i suoi gesti in relazione agli spazi, giocando con la tensione tra templi e suggestivi paesaggi e architetture orientali. Queste opere, poste in dialogo fra loro, restituiscono l’ampiezza del suo approccio concettuale e inaugurano il percorso espositivo con una forza visiva e metodologica che ne definisce l’intera ricerca.

 

Negli anni Settanta Rinke riesce a sviluppare un linguaggio visivo in cui il corpo diventa strumento di misurazione e principio di indagine: un dispositivo capace di interrogare tempo, spazio e presenza attraverso gesti minimi, posture controllate e sequenze analitiche. Le sue fotografie non funzionano come semplici documentazioni di performance, ma come veri e propri “esperimenti visivi”: frammenti di una ricerca quasi scientifica in cui il corpo dell’artista si offre come unità universale, soggetta a forze, durate, proporzioni. La mostra propone una nuova lettura di quelle indagini storiche: non come materiali d’archivio, ma come strumenti ancora oggi attivi per comprendere la relazione fra il sé e il mondo e ciò che resta di irriducibile nell’esperienza umana.

In un’epoca di nuove temporalità e crescente smaterializzazione, Rinke mostra come un gesto semplice e immediato — il “premere il pulsante” — possa trasformarsi in un manifesto di presenza totale, capace di catturare l’essenza stessa del vivere.